1 Euro a sillaba
Qualcuno ha memoria del popolare avvocato Franky di Fracchia contro Dracula?
Possedeva la bizzarra caratteristica di esprimersi attraverso muggiti, ululati o altri suoni classificabili come preistorici. Nella tragicomica avventura, la sua carica (in)espressiva era accompagnata dall'altrettanta rigidità motoria. Tuttavia non era troppo oneroso evincerne gli stati d'animo come il dissenso, il dispiacere, la paura, attraverso l'irrisoria mimica facciale e l'impatto sonoro delle sue emissioni gutturali. L'intonazione, pertanto, riesce a operare nel linguaggio paraverbale come chiave deduttiva / trasmissiva di messaggi emozionali. Ovviamente, la rinuncia a un eloquio articolato - scritto o parlato che sia - è un lusso che può concedersi solo questa tipologia comunicativa, nella cui compagine giocano un ruolo chiave il tono, le pause, ecc .. con il solo scopo di trasmettere uno stato d'animo, senza invece curarsi di sottoporre contenuti esplicativi all'interlocutore.
Ma cosa succede quando, appunto, urge comunicare al prossimo quali passaggi debba svolgere per raggiungere un obiettivo o come funzioni un determinato processo interattivo?
Ebbene, tralasciando la ludica (e spero anche lucida) premessa, atteggiamenti segnati dalla quasi totale rinuncia alla comunicazione verbale non possono adottarsi in quei frangenti del vivere quotidiano in cui è vitale e doveroso saper recapitare un'istruzione immediata, preferibilmente conforme a una grammatica e sintassi corrette; frangenti in cui il ricorso al linguaggio paraverbale, oltre che di impossibile applicazione, risulterebbe infruttuoso, sino a rasentare la comicità.
Immaginiamo, ad esempio, di spiegare al Signor Rossi come raggiungere l'Ufficio Postale più vicino a suon di sospiri o mugugni.
Eppure, ahinoi, ci duole constatare come una certa pigrizia esplicativa imperversi proprio in quei settori in cui l'esecuzione di certe operazioni andrebbe sempre accompagnata (almeno) da una sintetica spiegazione introduttiva; una sorta di guida, mai prolissa ma illuminante, di aiuto al compimento di un percorso.
Ma perchè, dunque, assistiamo a questa parsimonia descrittiva?
Perchè questa insanabile stitichezza verbale?
Udite, udite!
Progettisti, programmatori, disegnatori industriali e - molto spesso - persino svariati designer, pagano - di tasca propria - una tassa (salatissima) per ogni vocabolo trascritto. Ebbene sì, trasecolati lettori miei.
Si scherza, ovviamente, ma è evidente che la componente testuale delle interfacce visive (web e non solo) è spesso e tristemente trattata alla stregua della stesura di un telegramma.
Le parole pesano come macigni, costano, ingombrano, sottraggono il tanto prezioso tempo, depauperano i contesti visivi di quello spazio vitale da colmare con fronzoli e futili decori artistici. Oppure da colmare con niente. Fatica e tempo risparmiati.
I periodi di senso compiuto, le istruzioni, le descrizioni delle azioni da svolgere vengono sottoposti (qualora presenti, si intenda) a una massiccia sintesi, nonostante l'ampio spazio disponibile:
ins. nome e cogn. del contrib., allegare il doc., compil. la dichiaraz., fine della proced.
E ancora, le varie funzionalità [dal momento che - come trattato nel precedente articolo - "Ma tanto ...l'utente lo sa"] vengono inserite in pagina senza alcun cortese accompagnamento descrittivo (basterebbero due righe, per salvare Mario Rossi dal naufragio!) o distribuite in pagina senza alcun criterio logico che definisca, al primo impatto (ma forse anche al secondo!), la successione temporale delle cose da fare per raggiungere l'obiettivo X.
CASO 1: Mario Rossi è sensitivo, capisce tutto, sa tutto.
Epilogo: Mi risparmio la fatica di progettare e descrivere un contesto usabile/comprensibile, tanto ...Mario Rossi lo sa.
CASO 2: Mario Rossi non ha capito alcunchè dell'interfaccia = Mario Rossi è uno scemo.
Epilogo: Mi risparmio la fatica di progettare e descrivere un contesto usabile/comprensibile, tanto ...tutti gli altri lo sanno.
Cari colleghi, designer e non, non vi sto chiedendo - al cospetto di una sedia - di apporre un cartello con su scritto:
"Gentile utente, al fine di espletare la pratica di accomodamento, piegare lievemente le ginocchia, adagiare le natiche sulla seduta e le scapole sull'apposito schienale."
Non vi sto chiedendo neanche, in prossimità di una pietanza, di esporre sulla tavola un'indicazione del tipo:
"Gentile commensale, per svolgere la pratica di ingestione degli alimenti siti nel piatto, impugnare la posata, inforcare il cibo e condurlo nella cavità orale."
Vi sto invece chiedendo, affinchè il nostro Mario Rossi concluda con successo la propria interazione col sito del Comune X, di inserire un breve testo, come antidoto a rovinosi grattacapi:
Pertanto, imparate a discernere l'ambito richiedente una narrazione efficace del cosa e come fare per da una situazione in cui è invece del tutto obsoleto fornire spiegazioni. Una padronanza della materia (nel settore comunicazione e design) non può assolutamente prescindere da spiccate facoltà dialettiche, empatiche e relative capacità di sintesi concettuale.
Vi svelo un segreto: le parole non costano un euro, e neanche un centesimo - al di là di un certo dispendio energetico mentale e articolare, in fase di digitazione - altrimenti, a quest'ora, sarei ridotta sul lastrico.
Semmai, a caro, carissimo prezzo, si pagano le tragiche conseguenze scaturite dalla forza distruttiva, sovvertitrice del non detto.
Possedeva la bizzarra caratteristica di esprimersi attraverso muggiti, ululati o altri suoni classificabili come preistorici. Nella tragicomica avventura, la sua carica (in)espressiva era accompagnata dall'altrettanta rigidità motoria. Tuttavia non era troppo oneroso evincerne gli stati d'animo come il dissenso, il dispiacere, la paura, attraverso l'irrisoria mimica facciale e l'impatto sonoro delle sue emissioni gutturali. L'intonazione, pertanto, riesce a operare nel linguaggio paraverbale come chiave deduttiva / trasmissiva di messaggi emozionali. Ovviamente, la rinuncia a un eloquio articolato - scritto o parlato che sia - è un lusso che può concedersi solo questa tipologia comunicativa, nella cui compagine giocano un ruolo chiave il tono, le pause, ecc .. con il solo scopo di trasmettere uno stato d'animo, senza invece curarsi di sottoporre contenuti esplicativi all'interlocutore.
Ma cosa succede quando, appunto, urge comunicare al prossimo quali passaggi debba svolgere per raggiungere un obiettivo o come funzioni un determinato processo interattivo?
Ebbene, tralasciando la ludica (e spero anche lucida) premessa, atteggiamenti segnati dalla quasi totale rinuncia alla comunicazione verbale non possono adottarsi in quei frangenti del vivere quotidiano in cui è vitale e doveroso saper recapitare un'istruzione immediata, preferibilmente conforme a una grammatica e sintassi corrette; frangenti in cui il ricorso al linguaggio paraverbale, oltre che di impossibile applicazione, risulterebbe infruttuoso, sino a rasentare la comicità.
Immaginiamo, ad esempio, di spiegare al Signor Rossi come raggiungere l'Ufficio Postale più vicino a suon di sospiri o mugugni.
Eppure, ahinoi, ci duole constatare come una certa pigrizia esplicativa imperversi proprio in quei settori in cui l'esecuzione di certe operazioni andrebbe sempre accompagnata (almeno) da una sintetica spiegazione introduttiva; una sorta di guida, mai prolissa ma illuminante, di aiuto al compimento di un percorso.
Ma perchè, dunque, assistiamo a questa parsimonia descrittiva?
Perchè questa insanabile stitichezza verbale?
Udite, udite!
Progettisti, programmatori, disegnatori industriali e - molto spesso - persino svariati designer, pagano - di tasca propria - una tassa (salatissima) per ogni vocabolo trascritto. Ebbene sì, trasecolati lettori miei.
La leggenda narra, addirittura, che la stesura di sintetiche frasi di senso compiuto che possano fungere da supporto (o salvagente) alla navigazione internet o all'orientamento in luoghi pubblici eroganti servizi al cittadino, venga misurata attraverso un macchinario denominato contatore di sillabe.
Tale trasduttore restituisce, in output, la corrispettiva somma di danaro, un ammontare brutalmente detratto dal netto mensile del professionista scrivente.
Si scherza, ovviamente, ma è evidente che la componente testuale delle interfacce visive (web e non solo) è spesso e tristemente trattata alla stregua della stesura di un telegramma.
Le parole pesano come macigni, costano, ingombrano, sottraggono il tanto prezioso tempo, depauperano i contesti visivi di quello spazio vitale da colmare con fronzoli e futili decori artistici. Oppure da colmare con niente. Fatica e tempo risparmiati.
I periodi di senso compiuto, le istruzioni, le descrizioni delle azioni da svolgere vengono sottoposti (qualora presenti, si intenda) a una massiccia sintesi, nonostante l'ampio spazio disponibile:
ins. nome e cogn. del contrib., allegare il doc., compil. la dichiaraz., fine della proced.
E ancora, le varie funzionalità [dal momento che - come trattato nel precedente articolo - "Ma tanto ...l'utente lo sa"] vengono inserite in pagina senza alcun cortese accompagnamento descrittivo (basterebbero due righe, per salvare Mario Rossi dal naufragio!) o distribuite in pagina senza alcun criterio logico che definisca, al primo impatto (ma forse anche al secondo!), la successione temporale delle cose da fare per raggiungere l'obiettivo X.
Ma non finisce qui. Sebbene il funzionamento delle cose e le indicazioni stradali si possano evincere anche attraverso un certo struggimento cognitivo, il cui esito è la riduzione a brandelli della materia cerebrale, i progettisti si affidano troppo spesso anche alla presunta sensitività e telepatia del disgraziato utente-interlocutore, attribuendogli facoltà mentali precognitive, extrasensoriali, paranormali.
Di seguito una sintesi drammatica delle due tipologie di utenza previste dai nostri sedicenti professionisti del settore:
Epilogo: Mi risparmio la fatica di progettare e descrivere un contesto usabile/comprensibile, tanto ...Mario Rossi lo sa.
CASO 2: Mario Rossi non ha capito alcunchè dell'interfaccia = Mario Rossi è uno scemo.
Epilogo: Mi risparmio la fatica di progettare e descrivere un contesto usabile/comprensibile, tanto ...tutti gli altri lo sanno.
Vi comunico, ahimè, un'infausta prognosi: la precognizione e preveggenza onirica non appartengono ai nostri signori utenti; essi, non essendo nè onniscienti nè desiderosi di rincorrere le nostre perturbazioni mentali, hanno necessità che i percorsi da effettuare in un dato ambito vengano resi espliciti e diretti.
E vi dò una seconda notizia: non sono neanche scemi e, qualora lo fossero, avreste una ragione in più (non in meno!) per salvarli rivisitando scenari ed interfacce, non credete?
Cari colleghi, designer e non, non vi sto chiedendo - al cospetto di una sedia - di apporre un cartello con su scritto:
"Gentile utente, al fine di espletare la pratica di accomodamento, piegare lievemente le ginocchia, adagiare le natiche sulla seduta e le scapole sull'apposito schienale."
Non vi sto chiedendo neanche, in prossimità di una pietanza, di esporre sulla tavola un'indicazione del tipo:
"Gentile commensale, per svolgere la pratica di ingestione degli alimenti siti nel piatto, impugnare la posata, inforcare il cibo e condurlo nella cavità orale."
Non ve l'ho chiesto perchè - oltre a gravare sulle vostre finanze, a quanto pare - trattasi di automatismi abituali e universalmente assimilati, come tirar lo sciacquone (ammesso che il pulsante di scaricamento sia ben visibile e non annidato in un punto remoto della toilette!), soffiarsi il naso, allacciarsi le scarpe o le cinture di sicurezza.
"Gentile utente, al fine della corretta trasmissione della richiesta, compilare l'anagrafica, allegare la documentazione indicata, quindi cliccare sul pulsante invia modulo."
Si tratta di un atto cortese, empatico e talvolta anche risolutivo, pensate un pò. Il Mario Rossi vi ringrazierà per non averlo abbandonato in balìa di dubbi e orror ...ehm, pardon, errori di percorso.In conclusione affermeremo che il medesimo adagiamento proprio degli automatismi quotidiani non può e non deve avvenire all'interno delle interfacce di navigazione o delle labirintiche strutture sanitarie, dove la concatenazione di eventi/percorsi è talvolta un nodo difficile da districare ed è urgente sia a prova di amnesia, a prova di demenza senile, a prova di legittimo, democratico deficit cognitivo/culturale e (nel caso del contesto sanitario) persino di disagio psicofisico e motorio.
Vi svelo un segreto: le parole non costano un euro, e neanche un centesimo - al di là di un certo dispendio energetico mentale e articolare, in fase di digitazione - altrimenti, a quest'ora, sarei ridotta sul lastrico.
Semmai, a caro, carissimo prezzo, si pagano le tragiche conseguenze scaturite dalla forza distruttiva, sovvertitrice del non detto.
Cara Mafalda, concordo con la tua analisi alla quale aggiungo qualche considerazione:
RispondiElimina1) Le "istruzioni" dell'uso non sono facili da scrivere ovvero richiedono la capacità empatica dello scrivente di associare un corretto significante al significato che si vuole trasmettere. Nella lingua italiana corrente facciamo spesso, troppo spesso abuso di parole quale ad esempio l'uso del verbo "fare" invece di utilizzare il verbo che meglio descrive l'azione, es. sto facendo da mangiare invece di sto preparando oppure sto cucinando il pranzo,
2) Spesso i testi tendono ad essere prolissi, corretti da un punto di vista sintattico e normativo per non lasciare spazio ad ambiguità anche compromettenti. Per tale ragione si fa spesso ricorso a professionisti che hanno il merito principale di "tradurre" dal linguaggio "istituzionalmente corretto" al linguaggio corrente,
3) Le intenzioni di chi legge potrebbero non essere sempre genuine, nel senso che non sono orientate a capire quanto piuttosto a trovare errori e/o vizi di forma che poi saranno prontamente lanciati nel mare della critica sui social.
Per concludere penso che la scelta di "risparmiare" sulle parole sia spesso dettata più da esigenze di efficienza comunicativa, meno scrivo meno errori potrò, fare piuttosto che dalle sole regole di ergonomia di efficacia delle interfacce utente.