In forma Veritas
Talvolta, nelle nostre case, si riscontra la presenza di una o più confezioni cartonate o involucri di generi - alimentari e non - demoliti brutalmente, quasi fossero reduci da un'esplosione o morsicati nervosamente da un ratto.
Al primo impatto risulta più rassicurante additare il padrone di casa come nevrotico o vandalo, incurante dei princìpi di buon uso e buon gusto. Ebbene no. Quella stessa scatola, quella stessa busta da lettera, vistosamente massacrate, sono l'avvilente sintomo/risultante di una mancata efficacia comunicativa di cui è autore il progettista di packaging. Rinunciatario e riluttante all'applicazione dei fondamenti di usabilità e fruibilità, ha dimenticato (o mai appreso) l'importanza di rendere evidente sia alla vista, sia al tatto - nel caso di consumatori affetti da cecità - quell'area deputata all'apertura del contenitore.
Generalmente mi cimento nell'impresa di mansueta spettatrice-cavia, quel tanto che basta per indagare e saggiare un paio di aspetti:
1. il mio coefficiente di sopportazione - che assimilo al cosiddetto carico di esercizio (in gergo edile) - superato il quale crollo, traendo le dovute conclusioni;
2. la misura dell'inconsapevole incompetenza del Designer.
Diciamo che - 1 minuto di ricerca - è fin troppo, specie in occasioni in cui le condizioni di conservazione di un dato alimento impongono tempi di permanenza esterna il più possibile prossimi ai 10 secondi. Inoltre, in virtù di un'esistenza sempre più frenetica, non dispongo d'alcun tempo da sperperare in laboriose ginnastiche mentali e fisiche nel procacciare quel che, da onesto consumatore, dovrei vedermi servito su un piatto d'argento.
Da onesto consumatore rifiuto, inoltre, il concetto stesso di ricerca.
Pertanto, il tempo massimo di esplorazione consentito affinché un prodotto di interesse (spesso profumatamente pagato) si renda discretamente usabile / accessibile, deve aggirarsi attorno ai 5 secondi, non oltre.
Ma cosa rendeva irriconoscibile l'elemento di apertura della scatola?
Ovviamente, ai fini esplicativi, ho annoverato un caso limite, in cui la grafica incomunicativa si afferma così prepotentemente da divorare qualsivoglia indicazione sita sulla confezione. Il mio sfinimento è sopraggiunto poco prima d'aver scovato la fatidica mezza luna pigiabile, inducendomi a ripiegare sulla becera lacerazione del cartone, a ridosso di giunture laterali non propriamente preposte all'apertura.
Esito finale: la scatola demolita come sintomo di una cattiva, fallimentare usabilità a monte, sfociata nel mancato palesamento dell'elemento di interazione.
Imputato: il sedicente Designer.
Vittime: lo sfortunato utente-consumatore; la deturpata scatola.
Il tubetto di dentifricio
Altro esempio di alterazione dell'integrità del prodotto per mano del consumatore ma, stavolta, per nulla ascrivibile all'incompetenza del disegnatore industriale, è il famigerato tubetto di dentifricio. Quando premuto nella porzione centrale del corpo, esso si rivela come il fedele riflesso dell'assoluta pigrizia dell'utilizzatore.
Si tratta di contenitori le cui caratteristiche fisiche sono ottimizzate per una spremitura e consumo completi del prodotto. Il creatore può difatti prevedere e promuovere l'autoevidenza delle azioni da svolgere (chiudere/aprire, sollevare/abbassare, avvitare/svitare) affinché non siano mai soggette a errate interpretazioni, ma non ha alcun controllo sulla condotta del soggetto interagente.
Esito finale: il tubetto, destituito di ogni sua eleganza nativa, ridotto a due distinti agglomerati di contenuto che lo costringono a piegarsi su stesso - a mò di dolor di pancia - è sinonimo di totale negligenza e indisciplina in fase di interazione.
Imputato: il trasandato proprietario del dentifricio.
Vittime: il disgraziato convivente/coabitante; il tubetto dolorante.
La busta da lettera intestata
In sostanza, al contrario della scatola di gelati costellata di artifici visivi e vittima di timor del vuoto, in questo caso potremmo assistere a una semplice omissione dell'elemento, a una rappresentazione esigua dello stesso oppure a una silente presenza mai evidenziata, tanto da passar del tutto inosservata.
Esito finale: una busta strappata è sì frutto di un atto incivile o dettato da frettolosità ma, al contempo, denota ancora una volta lo scarso impegno da parte del disegnatore che ha tralasciato un aspetto determinante: la creazione di un segmento tratteggiato (ben visibile e accompagnato da opportuna indicazione) moderatamente inciso, quel tanto che basta per supportare la corretta apertura dell'involucro-busta. Deve inoltre soddisfare una serie di requisiti poiché, una diversa modalità di apertura - a differenza della scatola di gelati - comprometterebbe l'incolumità e leggibilità del contenuto della lettera:
1) ampiezza di circa 1cm;
2) incisione tratteggiata che consenta uno strappo netto, a prova di tremore;
3) adeguata didascalia descrittiva (tirare per aprire).
Imputato: ideatore-disegnatore;
Vittime: utente destinatario; contenitore e contenuto cartacei.
In sintesi sosterremo che, allo stato originario, la forma di un involucro o un'interfaccia devono riflettere NON la vena artistoide dell'ideatore, ma la funzione finale per cui l'oggetto è preposto, coerentemente con il suo scopo definitivo. Pertanto sarà urgente tener conto di forma, materiali ed eventuali note descrittive apposte sulla superficie del prodotto stesso.
Altresì, le sembianze assunte dall'articolo di uso comune nello status post-acquisto, l'aspetto derivato dal maneggiamento, il suo eventuale disfacimento (escludendo uno stato patologico distruttivo del Mario Rossi di turno) la dicono assai lunga sulla carenza di accorgimenti che il Designer avrebbe avuto il dovere di mettere in atto.
Persino la pigrizia del destinatario finale è imputabile al disegnatore.
Perché la pigrizia di quel Mario Rossi, il suo legittimo rifiuto alla riflessione e alla caccia dell'elemento X, lo ripeterò sino alla morte, costituisce una ragione in più - mai in meno - per ripensare e applicare strategie comunicative più fresche, più efficienti.
E - persino gli oggetti - ringrazieranno.
Al primo impatto risulta più rassicurante additare il padrone di casa come nevrotico o vandalo, incurante dei princìpi di buon uso e buon gusto. Ebbene no. Quella stessa scatola, quella stessa busta da lettera, vistosamente massacrate, sono l'avvilente sintomo/risultante di una mancata efficacia comunicativa di cui è autore il progettista di packaging. Rinunciatario e riluttante all'applicazione dei fondamenti di usabilità e fruibilità, ha dimenticato (o mai appreso) l'importanza di rendere evidente sia alla vista, sia al tatto - nel caso di consumatori affetti da cecità - quell'area deputata all'apertura del contenitore.
Generalmente mi cimento nell'impresa di mansueta spettatrice-cavia, quel tanto che basta per indagare e saggiare un paio di aspetti:
1. il mio coefficiente di sopportazione - che assimilo al cosiddetto carico di esercizio (in gergo edile) - superato il quale crollo, traendo le dovute conclusioni;
2. la misura dell'inconsapevole incompetenza del Designer.
La scatola
Una sera d'estate, desiderosa di aprire una scatola di gelati di un assai noto marchio, ruotavo vorticosamente il pacco alla spasmodica ricerca di un dannatissimo premi, pigia qui, una diavolo di linguetta zigrinata in grado di assolvere alla sua mansione unica: consentirmi di prelevare un cremino. Anelavo a un'incisione tratteggiata, a una micragnosa scritta che potesse rivelarsi il deus ex macchina, provvidenziale risolutore della trama, in fase di pieno arrovellamento.Diciamo che - 1 minuto di ricerca - è fin troppo, specie in occasioni in cui le condizioni di conservazione di un dato alimento impongono tempi di permanenza esterna il più possibile prossimi ai 10 secondi. Inoltre, in virtù di un'esistenza sempre più frenetica, non dispongo d'alcun tempo da sperperare in laboriose ginnastiche mentali e fisiche nel procacciare quel che, da onesto consumatore, dovrei vedermi servito su un piatto d'argento.
Da onesto consumatore rifiuto, inoltre, il concetto stesso di ricerca.
Pertanto, il tempo massimo di esplorazione consentito affinché un prodotto di interesse (spesso profumatamente pagato) si renda discretamente usabile / accessibile, deve aggirarsi attorno ai 5 secondi, non oltre.
Ma cosa rendeva irriconoscibile l'elemento di apertura della scatola?
Un groviglio di fronzoli pseudoartistici campiti con un repertorio cromatico talmente vasto da far gola a un Arlecchino contaminato da richiami hawaiani. Un motivetto decorativo evocativo dell'estate e dei suoi abbaglianti addobbi iconografici riusciva a eclissare, dunque, il salvifico testo premi qui per aprire.
Per scorgerlo sono state necessarie acrobazie visive tra fitti svolazzi estetici aventi una sola ragione di esistere: mettere in risalto il tecnicismo coatto (e deleterio ai fini comunicativi) del grafico-creativo di turno, del tutto incurante delle esigenze percettive del fruitore finale. Un grafico divertito, appunto.
Non un Designer. Non un comunicatore. Una macchina ostentatrice di manierismi estetici e affetta da horror vacui, come se non bastasse!
Ovviamente, ai fini esplicativi, ho annoverato un caso limite, in cui la grafica incomunicativa si afferma così prepotentemente da divorare qualsivoglia indicazione sita sulla confezione. Il mio sfinimento è sopraggiunto poco prima d'aver scovato la fatidica mezza luna pigiabile, inducendomi a ripiegare sulla becera lacerazione del cartone, a ridosso di giunture laterali non propriamente preposte all'apertura.
Esito finale: la scatola demolita come sintomo di una cattiva, fallimentare usabilità a monte, sfociata nel mancato palesamento dell'elemento di interazione.
Imputato: il sedicente Designer.
Vittime: lo sfortunato utente-consumatore; la deturpata scatola.
Altro esempio di alterazione dell'integrità del prodotto per mano del consumatore ma, stavolta, per nulla ascrivibile all'incompetenza del disegnatore industriale, è il famigerato tubetto di dentifricio. Quando premuto nella porzione centrale del corpo, esso si rivela come il fedele riflesso dell'assoluta pigrizia dell'utilizzatore.
Un'insanabile offesa al senso estetico e pratico, uniti al disappunto del malcapitato convivente, costretto a riposizionare ripetutamente il contenuto-dentifricio convogliandolo verso la porzione superiore.
L'ideatore della confezione, dal materiale altamente malleabile e di semplice utilizzo, è dunque sollevato da qualsivoglia responsabilità in quanto confidente nelle capacità logico/manuali del fruitore e nella sua quotidiana esigenza di agevole impiego.
Si tratta di contenitori le cui caratteristiche fisiche sono ottimizzate per una spremitura e consumo completi del prodotto. Il creatore può difatti prevedere e promuovere l'autoevidenza delle azioni da svolgere (chiudere/aprire, sollevare/abbassare, avvitare/svitare) affinché non siano mai soggette a errate interpretazioni, ma non ha alcun controllo sulla condotta del soggetto interagente.
Esito finale: il tubetto, destituito di ogni sua eleganza nativa, ridotto a due distinti agglomerati di contenuto che lo costringono a piegarsi su stesso - a mò di dolor di pancia - è sinonimo di totale negligenza e indisciplina in fase di interazione.
Imputato: il trasandato proprietario del dentifricio.
Vittime: il disgraziato convivente/coabitante; il tubetto dolorante.
Questo oggetto si colloca in uno status intermedio, ovvero - in certuni casi - la colpa della distruzione è legittima conseguenza dell'assenza di una porzione sufficientemente ampia (circa 1cm), utile a uno strappo laterale che renda arduo se non impossibile intaccare l'integrità della lettera in essa contenuta; spesso si rivela del tutto inesistente; talvolta, invece, nonostante tale componente sia adeguatamente rappresentato e addirittura segnalato, il destinatario esercita uno strappo tale da pregiudicare il contenuto della busta.
Vuoi per l'impellenza di leggere la comunicazione, vuoi per difficoltà nel calibrare forza e direzione di taglio manuale, ecc ... è comunque assai probabile che gli utenti non siano culturalmente avvezzi a questa tipologia di servizio, ignorandone l'esistenza pur quando resa disponibile.
Oppure, i più disciplinati, nonostante la totale assenza di quell'area cruciale, sceglieranno di avvalersi di una forbice o una taglierina, utili alla pulita estrazione del contenuto cartaceo.In sostanza, al contrario della scatola di gelati costellata di artifici visivi e vittima di timor del vuoto, in questo caso potremmo assistere a una semplice omissione dell'elemento, a una rappresentazione esigua dello stesso oppure a una silente presenza mai evidenziata, tanto da passar del tutto inosservata.
Esito finale: una busta strappata è sì frutto di un atto incivile o dettato da frettolosità ma, al contempo, denota ancora una volta lo scarso impegno da parte del disegnatore che ha tralasciato un aspetto determinante: la creazione di un segmento tratteggiato (ben visibile e accompagnato da opportuna indicazione) moderatamente inciso, quel tanto che basta per supportare la corretta apertura dell'involucro-busta. Deve inoltre soddisfare una serie di requisiti poiché, una diversa modalità di apertura - a differenza della scatola di gelati - comprometterebbe l'incolumità e leggibilità del contenuto della lettera:
1) ampiezza di circa 1cm;
2) incisione tratteggiata che consenta uno strappo netto, a prova di tremore;
3) adeguata didascalia descrittiva (tirare per aprire).
Imputato: ideatore-disegnatore;
Vittime: utente destinatario; contenitore e contenuto cartacei.
In sintesi sosterremo che, allo stato originario, la forma di un involucro o un'interfaccia devono riflettere NON la vena artistoide dell'ideatore, ma la funzione finale per cui l'oggetto è preposto, coerentemente con il suo scopo definitivo. Pertanto sarà urgente tener conto di forma, materiali ed eventuali note descrittive apposte sulla superficie del prodotto stesso.
Altresì, le sembianze assunte dall'articolo di uso comune nello status post-acquisto, l'aspetto derivato dal maneggiamento, il suo eventuale disfacimento (escludendo uno stato patologico distruttivo del Mario Rossi di turno) la dicono assai lunga sulla carenza di accorgimenti che il Designer avrebbe avuto il dovere di mettere in atto.
Persino la pigrizia del destinatario finale è imputabile al disegnatore.
Perché la pigrizia di quel Mario Rossi, il suo legittimo rifiuto alla riflessione e alla caccia dell'elemento X, lo ripeterò sino alla morte, costituisce una ragione in più - mai in meno - per ripensare e applicare strategie comunicative più fresche, più efficienti.
E - persino gli oggetti - ringrazieranno.
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