De Gustibus o Design?
Che io prediliga il leopardato allo stile Peppa
Pig, oppure che gradisca maggiormente il caffè macchiato al ginseng,
rappresenta una percezione soggettiva, circoscritta al range del
relativismo. In arte regna sovrana la variabilità individuale; la
percezione della bellezza o dell'impressione suscitata nel pubblico sono
spesso influenzate dal momento storico-culturale e dal bagaglio
emozionale/esistenziale dell'osservatore.
È con l'avvento della Bauhaus di Gropius che si sono maggiormente, se non definitivamente, tracciati i confini tra la produzione meramente artistico/pittorica e i principi del design logico-progettuale avente la finalità di comunicare scopo e funzione delle cose.
In
comunicazione, pertanto, qualunque essa sia e in qualsiasi dimensione
del vivere quotidiano abbia l'onere di svolgersi - dagli oggetti d'uso
comune ai servizi erogati al cittadino dalle pubbliche amministrazioni -
è urgente la costruzione di messaggi portatori di un significato univoco, oggettivo, incapace di lasciar spazio a dubbi interpretativi.
Che
si tratti di una piattaforma, di un'applicazione, di un sito web, del
bugiardino di un farmaco, del packaging di un alimento, ecc..
l'approccio deve poter restare il medesimo, purchè rifletta determinati
linguaggi universalmente accolti in quanto riconoscibili.
Affinchè un prodotto sia degno di definirsi usabile (ovvero di facile lettura) il design di un'interfaccia deve soddisfare tre requisiti necessari: reperibilità, riconoscibilità, funzionalità, partendo sempre dai seguenti presupposti:
1)
l'utente non è onnisciente nè dotato di facoltà precognitive. È
democraticamente pigro, talvolta affetto da analfabetismo informatico e
confidente in operazioni di rapido e facile svolgimento che ne
migliorino l'esistenza;
2) se non comprende dei passaggi
cruciali all'interno di un wizard, di un processo di acquisto/vendita o
qualsivoglia interazione con il sistema, non è affetto da un deficit
cognitivo.
Risulta assai probabile - invece -
che le capacità di trasmissione dei concetti da parte del progettista
siano state lacunose, vacillanti e non supportate da alcuna reale
conoscenza dell'iter da sottoporre al soggetto interagente. Lo stesso
progettista deve aver ignorato, inoltre, gli strumenti o componenti
visivo-tecnologici di cui avvalersi per rendere l'esperienza utente più
agevole e fluida.
Un flusso interattivo/di
navigazione ben strutturato deve descrivere in modo semplice meccanismi
complessi; attraverso una certa disposizione di contenuti, eventi a
cascata scatenati da una successione (purchè sempre esigua!) di click,
riesce a elaborare prodotti a prova di bambino, come missione
irrinunciabile, che risultino diretti e non costringano il navigante ad
alcuno struggimento mentale.
Diciamo che, a comunicare in modo
complicato e indecifrabile meccanismi già di per sè complessi siam
capaci tutti; non richiede alcun dispendio energetico se non la copia
fedele dello scenario posto dietro le quinte.
Ma
cos'è il dietro le quinte? Basti pensare al meccanismo di un orologio
analogico, comprensivo di un motore e un sistema di
trasmissione/controllo dell'energia, il tutto tradotto (agli occhi del
soggetto) in un semplice indicatore del tempo: il quadrante. Quanto
viene restituito è dunque un'indicazione chiara e inconfutabile, a
dispetto di un ingranaggio invisibile e articolato (a patto non si
tratti di un modello con meccanismo a vista!). Quanto viene sottoposto
all'osservatore possiede un aspetto scarno, essenziale, assimilabile a
un palcoscenico teatrale e - tuttavia - capace di comunicare con estrema
efficacia e incisività spegnendo quel surplus talvolta assolutamente
inopportuno se non deleterio.
Farsi capire, dal
genio della NASA come dal bimbo ignaro e digiuno del contesto, richiede
invece lavoro, cultura e soprattutto l'onestà intellettuale di
ammettere il fallimento laddove - in sede di un test di usabilità - il
Mario Rossi di turno oserà affermare: "Uhm, direi che ancora non si
comprenda. Non so dove recarmi per svolgere l'opeazione X".
La
differenza tra un professionista e un presunto tale è pertanto il
riconoscersi portatore di una sconfitta; dalla sconfitta scaturisce
l'urgenza di una empatica revisione/rivisitazione del progetto, infinite
volte, fintanto che il destinatario non avrà riscontrato alcun elemento
fuorviante, nè percorsi tortuosi.
All'interno dell'iter di
compilazione/consultazione di una determinata interfaccia visiva, il
fruitore deve potersi sentire a proprio agio, mai farsi carico della
perturbazione mentale del designer.
E guai se
urge creare istruzioni-salvagente per insegnarne il funzionamento
(impiegabili, semmai, in corsi di taglio e cucito o modellamento della
pasta di sale): sarebbe il sintomo di un totale fallimento del Designer
delegante il tutto a libretti informativi/indottrinatori, attribuendo la
responsabilità di una eventuale, mancata comprensione degli eventi -
per l'ennesima volta - all'utente finale stesso.
Viviamo
in un tornante della storia del design molto pericoloso, dove
l'applicazione del buon senso viene talvolta osteggiata, talvolta
sbeffeggiata, talvolta aggirata. È un eretico colui il quale si rende
portavoce di un malcontento taciuto e si batte per un nuovo
risorgimento: il ripristino (o almeno la promozione) di un pensiero
lineare, orientato alla salvezza del consumatore, alla risoluzione di
criticità e conflitti in tutti i contesti di interazione uomo-macchina /
uomo-prodotto.
Viviamo in un'era in cui a imperversare sono le interfacce preconfezionate e pronte all'uso,
del tutto svincolate dallo scopo e dagli interlocutori per i quali sono
destinate. Del tutto incuranti di definire una modalità interattiva
ragionata, modellata sulle esigenze e gli obiettivi dell'applicativo e
dell'utente finale, di un packaging efficace, di una segnaletica
stradale autoevidente.
La risultante è una serie di artefatti
prodotti in serie, a mo' di Pop Art con la differenza che, mentre quelle
opere si adoperavano a elevare l'oggetto d'uso comune al ruolo di opera
d'arte, questi visual contemporanei destituiscono il ruolo del design
progettuale di ogni sua dignità, declinandolo al ruolo d'oggetto d'uso
comune.
La costruzione di strade in discesa è
dunque il compito cardine, non dei sognatori, ma dei progettisti seri,
che prendano in carico la necessità legittima del fruitore: salvarsi dal
naufragio e da eventuali avarie.
Nel design non devono esser concessi
dubbi, nè tanto meno sforzi cognitivi.
È bene che da questo
mestiere si astengano smanettoni perditempo, inutili conoscitori di
software in quanto meri ordigni in grado di compiere artifici
visivo/estetici. La mano dell'artigiano, l'occhio appassionato dello
studioso della percezione visiva e della costruzione di un visual
semplice da usare, gradevole da guardare e di immediata comprensione,
costituiscono le colonne portanti di un prodotto vincente, durevole nel
tempo.
Un sistema non deve configurarsi come un percorso a
ostacoli, ma la soluzione all'abbattimento di essi; un sistema e un
professionista autorevoli operano al servizio del consumatore, del
cittadino, dell'utente e del fruitore in senso ampio. Sempre.
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