Mostre, mostri e rimostranze

Come ampiamente discusso negli articoli precedenti, il concetto di usabilità coinvolge i più disparati ambiti di interazione uomo-macchina, uomo-prodotto, uomo-arte.
Svolgeremo, di seguito, una panoramica dei suoi impieghi virtuosi e - ahinoi - di quelli assolutamente rovinosi.

Casi Virtuosi

Il dinamismo sovvertitore della pittura futurista innescava, nell'occhio dell'osservatore, un'interpolazione visiva tra elementi geometrici in grado di sintetizzare (e quindi restituire) ritmo e impetuosa velocità concentrandosi su un concetto essenziale: il movimento del soggetto rappresentato. Il tutto si traduceva nell'abbandono del dettaglio meramente estetico/figurativo a favore di tratti e forme elementari efficacemente evocativi di un'auto in corsa, di uno scattante cagnolino al guinzaglio, di un agile ciclista sfrecciante in pista ecc ... Si tratta, pertanto, di una corrente artistico-comunicativa indiscutibilmente incentrata sulla trasmissione di un messaggio a dir poco lampante, del tutto scevro da sovrastrutture intellettualistiche o significati occulti; un assoluto successo in materia di totale corrispondenza tra intento del mittente ed effetto sortito sul destinatario finale.
Le innumerevoli zampe del cagnolino, le otto ruote del veicolo non sono la risultante di una mano tremante o una vista sdoppiata, ma un codice comunicativo capace di raffigurare - su supporti statici e bidimensionali - una sequenza di fotogrammi tipica del cinematografo (per intenderci, quelle stesse tele corrispondevano al contemporaneo Motion Design).

Analogamente, la letteratura dannunziana, sebbene scarsamente carica di contenuti di rilievo (gli ammiratori non me ne vogliano!) è talvolta popolata da passaggi estremamente evocativi.
Nel componimento Pioggia nel pineto, attraverso un sapiente impiego di pause, un'eccellente allocazione dei segni d'interpunzione e arrangiamento dei versi, il poeta è perfettamente in grado di scandire il ritmo naturale della pioggia sul terreno suscitando esiti interpretativi e stati emozionali tendenzialmente univoci (la pioggia che s'infrange, a cadenza regolare) affinché il lettore stesso non debba svolgere alcuno stratagemma vocale/visivo/mentale per recepire correttamente i propositi dell'autore.
Il tutto si compie senza ricorrere a suoni onomatopeici (basti pensare all'ingenuo "Tic e tac la pioggia cade [...]" di Gianni Rodari) nella misura in cui un serio Designer mai apporrebbe la scritta "cliccami" o "click-click" su un pulsante al fine di aumentarne le probabilità di interazione o individuazione!

In sostanza l'osservatore, l'utente, il ricevente devono aver certamente acquisito, nel proprio percorso formativo e culturale [ma anche solo esistenziale, si intenda] una serie di codici linguistici e iconografici attraverso i quali il disegnatore o lo scrittore riusciranno a generare, tramite i propri elaborati, una sorta di connessione, un ponte sgombro da interrogativi o grattacapi tra sé e il consultatore stesso.
I futuristi e la pioggia dannunziana costituiscono dunque un virtuoso esempio di usabilità (facilità di lettura e oggettività interpretativa) rispettivamente negli ambiti pittorico e letterario.

Casi Pietosi

E poi arrivano i mostri.
L'Astrattismo, l'Action Painting, alla stregua di interfacce visive o divulgative tanto incomprensibili quanto governate da sciatta entropia, delegano all'interlocutore la totale responsabilità di quanto recepito (lavandosene bellamente e placidamente le mani) attribuendo l'incomunicabilità dei soggetti rappresentati a quell'intento - bugiardo e supponente - di lasciar spazio a molteplici varianti interpretative.
L'astrattista, in sintesi, non si avvale di alcun codice comunicativo noto; la sua elogiata e gravemente legittimata pigrizia lo spingono alle estreme conseguenze in termini di mancata costruzione - o demolizione - di quei ponti empatico-interattivi che dovrebbero costituir le fondamenta d'ogni tentativo di intrattenimento, di coinvolgimento. Egli rinuncia, talvolta, persino a un titolo esplicativo a cui non ha tempo di pensare (le famose opere "Senza titolo" parafrasabili in un avvilente "Fai tu ..").
Che ognuno veda quel che desidera, che ognuno tragga le conclusioni che più gli son congeniali, che ognuno assegni il titolo desiderato, purché un agglomerato di schizzi cromatici colmi uno spazio bianco. Oppure non lo colmi affatto. Si pensi alle famose tele bianche, ammirate da pseudo-intellettuali e falsi rintracciatori di concetti illuminanti persino dietro quel nulla carico di nulla.
Non si tratta di spunti alla riflessione, no. Si tratta di totale abbandono dell'utente in balìa di percezioni ipotetiche, in balìa di segreti mai svelati, in balìa di trame indistricabili, in balìa di mostri autoreferenziali. In certa pittura, come in certe interfacce digitali, il fruitore diviene protagonista di cacce al tesoro estenuanti, impotente spettatore di scenari nonsenso o componenti di navigazione irriconoscibili come tali, in quanto privi delle caratteristiche visive attese.
Un tasto, di un elettrodomestico come di un sito web, è identificabile come tale solo se portatore di una serie di caratteristiche anatomiche che lo riconducano a uno standard comune quali: sottolineatura del testo, affiancamento a una freccia, adagiamento su sfondo colorato che ne circoscriva l'area sensibile.
Ma non basta.
È altresì urgente che esso si collochi in un'area del contesto di appartenenza che lo renda congruo rispetto a un set di contenuti o al preludio a una specifica funzionalità.
Il riconoscimento ha il dovere di compiersi (ricordiamolo nuovamente) entro un lasso temporale estremamente esiguo, possibilmente prossimo a un secondo. Un veicolo che corre è un veicolo che corre. Un cane che corre è un cane che corre. Un ciclista che corre è un ciclista che corre. Mai mi soffermerò a chiedermi: "Uhm, e se invece fosse una forbice? E se invece fosse un ventaglio?".
No, è una macchina che corre. Una macchina che corre e basta.
   
Casi Umani

Riporto, a scopo esemplificativo, la frase che segue: 
"Mario Rossi sostiene il figlio del vicino è un criminale"

Una prova inconfutabile di quanto sia determinante il ruolo delle pause nella definizione dei significati. Scommetto che nessuno di voi sia riuscito a dedurne un senso logico, se non la banale constatazione visiva di una successione di parole.

Trascrivo ora il medesimo periodo avvalendomi di tre distinti utilizzi della punteggiatura:

1. Mario Rossi sostiene: il figlio del vicino è un criminale!
2. Mario Rossi - sostiene il figlio del vicino - è un criminale!
3. Mario Rossi sostiene il figlio del vicino: è un criminale!

Escludendo l'analfabetismo, il deficit cognitivo e l'eventuale cecità del lettore, è facile dedurre le tre accezioni scaturite dalle tre varianti: un Mario Rossi accusatore, un Mario Rossi colpevole, un Mario Rossi complice.
Ebbene, attuandone una trasposizione alle interfacce digitali o cartacee, un ipotetico Designer/professionista dell'esperienza utente potrebbe sostenere:
"Beh, avendo a disposizione un repertorio contenutistico X, è sufficiente io inserisca gli elementi nella pagina richiesta, purché rechino la lingua desiderata, purché risultino appetibili, purché il carattere sia leggibile, purché lo stile sia formalmente composto e coerente, purché si riflettano i cromatismi istituzionali, purché Mario Rossi sia trascritto in grassetto al fine di esaltarne le vesti di attore principale".

Ma il nostro sedicente progettista ignora - suo malgrado - un nodo tanto cruciale quanto determinante ai fini del tracciamento di una definitiva linea di demarcazione tra sé e un professionista vero: la capacità di comunicare efficacemente e immediatamente funzionalità, percorsi, processi differenti affidandosi NON alla veste grafica [assimilabile e confinata a un mero abito da sera indossato da un muto] bensì alla disposizione ragionata e mirata degli elementi coinvolti, alle loro modalità di apparizione e interazione al fine di riuscire a trasmettere differenti significati semplicemente allocando blocchi di contenuto e componenti di navigazione in maniera logica, mirata, strategica.

Quegli stessi, insignificanti segni d'interpunzione (generatori di pause) sono in realtà potenti ordigni costruttori di concetti; sono simboli capaci di burattinare e rivoluzionare scenari, esiti e impatti sul ricevente; sono attuatori di una drammatica inversione della posizione assegnata al Mario Rossi, da accusatore a carnefice, da vittima a imputato, da uomo libero a detenuto! Sono quelle stesse parole (cadenzate) della pioggia dannunziana.

In sostanza, la missione principe di un abile mittente/comunicatore risiede NON nella mera stesura dei pezzi del mosaico coinvolti nella costruzione dell'aspetto finale [prettamente estetico] ma nella disposizione del singolo tassello affinché, in relazione al contesto e in costante dialogo con l'elemento adiacente, elabori artefatti  portatori di un altissimo livello di specificità concettuale, nella misura in cui -in ognuna delle tre frasi sopra riportate - tutti i tasselli (parole) componenti il periodo di senso compiuto acquisiscono e restituiscono una valenza propria, univoca.

Egli ha dunque il sacrosanto dovere di:

1. Identificare e definire il concetto che intenda trasmettere avvalendosi di un codice comunicativo in linea con le regole grammaticali e linguistiche correnti;

2. impiegare gli strumenti e il repertorio simbolico/linguistico a disposizione nonché l'esperienza pregressa al fine di elaborare e disporre le parole in una certa sequenza X;

3. fare della propria opera - che sia la stesura di un racconto, che sia un soggetto pittorico, che sia una scultura, che sia una pagina cartacea informativa, che sia una pagina digitale interattiva - il riflesso fedelissimo del messaggio da recapitare affinché si riveli risolutivo per il pubblico e ne assecondi le legittime esigenze.

Analogamente, un processo o un'interfaccia di navigazione sono portatori di un'usabilità virtuosa solo se soddisfano determinati aspetti aventi un elevato coefficiente di oggettività a livello percettivo, in modo tale che il 100% degli utenti possa captarne il medesimo significato.
Assai noti siti di e-commerce, ad esempio, sono caratterizzati da una tale efficienza e immediatezza di svolgimento da rasentare - talvolta - l'assoluta ovvietà, quasi a voler convogliare rapidamente il navigante verso il completamento del processo di acquisto; si tratta di flussi di navigazione dove orientarsi risulta un gioco da ragazzi, dove il disperato tentativo finalizzato al "clicco qui e vediamo cosa accade" è un concetto inammissibile se non oltraggioso; si tratta di percorsi aventi lo scopo di accompagnare il fruitore in direzione del pagamento finale allo scopo di racimolare più acquisti possibili in un lasso temporale irrisorio. L'intelligenza vuole che il viaggio sia breve, fluido, familiare. Diretto e univoco come il dipinto futurista dell'auto che corre. Come il Mario Rossi colpevole, come il Mario Rossi accusatore. Come la pioggia che cade.

Contrariamente, rovinosamente, svariate interfacce della pubblica amministrazione presumono di saper erogare un servizio che ottimizzi l'esistenza dell'utente-cittadino (cioè di saper compiere il proprio doveroso minimo sindacale) ma lo lasciano - ahinoi - capitolare brutalmente dinnanzi a scenari inattesi; il disgraziato di turno, desideroso di consultare la propria posizione o richiedere eventuali bonus, si illude di poterli reperire - a rigor di logica - all'interno della propria area personale - contestualmente all'avvenuta autenticazione - nella misura in cui mi attendo una maiuscola all'inizio di un periodo o il mio salotto non appena aperta la porta d'ingresso.
E invece no. Non visualizza nell'immediato la propria area personale né le informazioni d'interesse a essa correlate, bensì lo sconcerto, una mole di funzionalità e dati aspecifici, afinalizzati, dispersivi e meramente riempitivi di scatole vuote.

È il triste epilogo prodotto da un cattivo comunicatore, lo stesso comunicatore che scriverebbe quella frase senza punteggiatura dando origine a un contenuto del tutto sibillino, privato di ogni opportuna pausa e dunque di ogni senso; centomila (equivalente a nessuna) chiavi di lettura sfocianti nella più totale inesistenza di un significato certo.
L'utente, in balìa di svariate possibilità interpretative - delle quali nessuna realmente attendibile - consulta una frase sintatticamente corretta ma del tutto sprovvista di carica espressiva o valore divulgativo.
Ricordiamo: quella fronte aggrottata, segnata dal solco del dubbio, è un trattamento che l'utente non merita. Mai.

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