Houston, abbiamo un problema

SE  IL CINEMA PARLASSE AL DESIGN


Credete forse non possa esistere l'usabilità anche nel mondo dello spettacolo? Se siete curiosi di saperne di più, proseguite in questa lettura.
A raccontarsi, stavolta, è un anziano e saggio signore: il cinematografo.
Nato verso la fine dell '800, sono indubbiamente stato un esemplare (rudimentale) di interazione uomo-macchina/uomo-dispositivo. Mi definisco la branca dell'intrattenimento maggiormente segnata da espressioni cariche di suspense, quali:
"Sarà lui l'assassino?", "Dove avranno mai nascosto l'arma del delitto?", "Il protagonista è davvero morto o tornerà prima della comparsa dei titoli di coda?".

Questo genere di impatto [certamente destabilizzante e ben lontano dal farmi apparire come usabile, ammettiamolo] è sintomatico della ricerca - da parte del regista - di una tensione emotiva o effetto sorpresa utile a mantener viva l'attenzione in colui che guarda; colui che tutto potrà fare fuorché addormentarsi in poltrona.

Nel caso di produzioni dominate dal mistero - tipiche, ad esempio, delle coinvolgenti trame dei film gialli - la qualità si misura proprio sul grado di pathos suscitato nell'utente [ovvero sull'intensità del batticuore e sulla profondità del solco frontale, per intenderci].

In virtù di questa impronta mi appellereste come inusabile, non è vero? E qui casca l'asino: nonostante la smisurata ambiguità illusionistica che contraddistingue gran parte delle mie opere, sono tuttavia abile a utilizzare - più di qualsiasi altra forma espressiva - una strategia comunicativa intrisa di standard fortemente radicati nella cultura e nella percezione comune.

Poco importa si tratti di un giallo, un western, un fantasy, un horror, un sentimentale: il modo di rappresentare un sogno, un ricordo, una presunta menzogna ecc. ha un criterio, uno schema tradizionale (o regola di montaggio) immutabile nel tempo. Definito e definitivo.

Ma com'è possibile che l'utente spettatore recepisca il senso d'ogni fatto/effetto in barba a un ricorrente clima d'incertezza? Com'è possibile si verifichi una così puntuale sintonia fruitore-prodotto? Non parliamo certo d'un pubblico più istruito né più illuminato né necessariamente esperto in materia di regia, precisiamolo.

In una sala cinematografica, poi, non si hanno mica a disposizione i pulsanti back e stop come per i lettori Dvd! Tutto deve compiersi nell'arco temporale di un paio d'ore al massimo, senza concedere la possibilità di ripercorrere/arrestare alcun fotogramma. 

Un film è un wizard, un viaggio unidirezionale dove ogni minima evoluzione si svolge entro pochi istanti, quanto basta per comunicare all'utente cosa stia accadendo e dove gli eventi vogliano via via sfociare: cosa succede, dove ci si trova, dove si è diretti.
Un film può rappresentare un mare in tempesta, un rompicapo, un festival dell'impressionismo nel corso del quale è tuttavia improbabile un eventuale naufragio cognitivo poiché gli ingredienti che lo compongono - sebbene mirino a tener tutti sulle spine - si rivelano straordinariamente usabili.
Il linguaggio è universale, infallibile nel salvare lo spettatore dai grattacapi e dall'urgenza di prendere a gomitate l'amico bisbigliandogli: "Ehi, pss ...ma secondo te che vuol dire? Questa cosa la sta sognando o sta accadendo sul serio? Sono cugini o amanti? Tu ci stai capendo qualcosa?".

Ma quali sono queste premurose convenzioni che fanno di me un campione dell'usabilità?

Eccovi serviti con qualche esempio:

1. un sogno - lo sa anche un bambino - va sempre rappresentato attraverso l'effetto sfocatura radiale applicato all'immagine, non certo segnalato dalla scritta in sovrimpressione "attenzione, il protagonista sta ora sognando";

2. un flashback è contraddistinto da una saturazione cromatica più bassa o dal bianco e nero, nel caso di ricordi piuttosto lontani nel tempo;

3. un evento drammatico, un'aggressione imminente sono preannunciati da una musica terrificante, non certo da un suono conciliante [a parte qualche eccezione in cui - come in Arancia Meccanica - la violenza fisica inferta alla vittima è accompagnata - e per paradosso amplificata - da una traccia di musica classica];

4. la pazzia di un soggetto è abbinata a un suono sinistro, spesso stridente;

5. aspetto fisico e profilo psicologico d'ogni personaggio possiedono un carattere altamente specifico. 
Se vi sono gemelli, questi verranno resi riconoscibili grazie ad acconciature vistosamente differenti;

6. i soggetti interagenti devono emergere rispetto all'ambiente circostante (al di là di eccezioni quali voci fuori campo), pertanto vanno sempre collocati in un punto della scena piuttosto evidente;

7. il grado di parentela intercorrente tra due interlocutori - specie nelle soap opera - è spesso rievocato da espressioni del tipo "Ben detto, sorella!", "Comportati bene, figlio mio", un valido promemoria a prova di amnesia, a prova di nuovo spettatore;

8. le porte cigolanti non sono frutto di incuria o scarsa lubrificazione delle cerniere, bensì un prezioso indicatore acustico dell'entrata/uscita degli attori in/da una stanza, così da palesare l'evento anche ai non vedenti (secondo i principi di accessibilità).

Questo repertorio costituisce un efficace supporto alla corretta lettura dello scenario pur includendo, tuttavia, cliché estremamente prevedibili:
- Sovente, quando un uomo e una donna si trovano nella stessa stanza e un oggetto cade accidentalmente a terra, questi si chineranno simultaneamente a raccoglierlo guardandosi intensamente negli occhi: epilogo inesorabile sarà un bacio;
- se nel silenzio della notte un individuo entra nella propria auto ...ecco apparire, a pochi secondi dalla partenza, un aggressore dal sedile posteriore: epilogo inesorabile sarà un coltello o una pistola puntati al collo.

Attenzione quindi a non confondere la necessaria usabilità con l'inutile, se non dannosa, scontatezza narrativa poiché è questa a pregiudicare il ruolo principe dell'intrattenimento: sorprendere il pubblico salvandolo dalla noia, prima ancora che dal dubbio.


Nei miei "panni" (se un sito web diventasse un film)

Che fallimento, sarebbe, se l'autore improvvisasse contenuti indecifrabili o sovrapponibili ai significati più disparati; inutile giustificare il tutto con l'avvilente frase "Ma sì, ma tanto ...lo spettatore lo sa" perché, vi dò una notizia, lo spettatore non lo sa e non immagina proprio un tubo se non quello che gli si metta sotto al naso, possibilmente usando colori forti e toni piuttosto decisi. E questo il regista lo sa molto bene.

Per assurdo, ipotizzate che questo regista costruisca la trama di un film con la stessa leggerezza con cui certi Designer elaborano le interfacce di navigazione. Immaginate una storia in cui tutti, ma proprio tutti, gli attori coinvolti nella narrazione delle vicende recitino coperti da un lenzuolo bianco, acconciati come fantasmi.
[Tranquilli, si tratta di un esperimento, non certo del sequel di The Others!]

Se foste spettatori considerevolmente attenti - o votati a uno sforzo mentale estenuante - sareste in grado di distinguere i personaggi basandovi sulla sola voce o sulla sagoma descritta da quel velo integrale;
la stragrande maggioranza di voi troverebbe invece frustrante seguire una trama dominata da figure monocromatiche/monoespressive, esigendo il legittimo rimborso del biglietto.

Una rappresentazione (teatrale o cinematografica che sia) popolata di elementi del tutto privi di tratti somatici distintivi equivale a una partita a scacchi dove tutti i pezzi - a prescindere dalla gerarchia - abbiano sembianze di Pedoni.                                                                     
Ma spingiamoci davvero al limite. Come reagireste se il regista decidesse persino di relegare i protagonisti a un livello del campo visivo scarsamente identificabile? Magari in un punto dell'inquadratura oscuro, ben distante dalla postazione di rilievo che determinate scene richiederebbero. In quel caso, per poter distinguere un soggetto umano da un oggetto d'arredo, sarebbe necessario aguzzar bene la vista, avvicinarsi allo schermo o indossare un paio di occhiali. Pura follia.

Una produzione cinematografica è quindi paragonabile, prima che a un sito internet, a una partita a scacchi:

- gli attori messi in campo sono elementi portatori di un'identità visiva;

- ad ogni identità visiva corrisponde un ruolo;

- ogni ruolo racchiude in sè una certa funzione (la mossa possibile);

- tutti gli elementi sopra elencati compongono il profilo del personaggio;

- nello spazio destinato ad accogliere i fatti (lo sfondo scenografico), questi soggetti sono coinvolti in una storia all'interno della quale ognuno esprime e preserva sì il proprio Io ma è al contempo connesso a chi vi interagisca, ovvero gli altri profili. 

Non cogliete anche voi significative analogie con un prodotto digitale? Riavvolgiamo il nastro:
- gli attori, come pezzi degli scacchi, sono i componenti di un'interfaccia di navigazione. Per funzionare devono esser caratterizzati da un determinato aspetto che ne rievochi il peso o la famiglia di appartenenza;

- ogni componente possiede un ruolo (ovvero può essere un pulsante, una voce di menù, un campo di testo, ecc.);

- ogni ruolo racchiude in sé - oltre che un aspetto - un comportamento (può aprire una nuova pagina, avviare un filmato, confermare il salvataggio dei dati inseriti, ecc.);

- lo sfondo scenografico, infine, non corrisponde altro che allo spazio popolato dall'orchestra di contenuti (ovvero il contesto pagina, meglio noto come layout).

Questa collettività di elementi è assimilabile alla posa di un pavimento a mosaico ove ogni tessera si adagia all'altra - complementare e contigua - concorrendo alla realizzazione di un progetto modulare più ampio e complesso: il mosaico.
Il dialogo attore-attore, al pari del rapporto tessera-tessera, deve rivelarsi convincente e subitaneo agli occhi dello spettatore. Un incastro, solido e perfetto, di fluide dinamiche.


I consigli dell'esperto

Da vecchio signore, sostengo fermamente che un'esperienza di navigazione potrebbe divenire (av)vincente se strutturata come una sceneggiatura [a patto non ricalchi format simil-tarantiniani]: un percorso lineare scandito da un registro trasversale accessibile a chiunque in tutte le fasi del percorso.

Mi è invece bastato un colpo d'occhio per capire che tu, interfaccia web, sei il risultato di procedure sbrigative, della frenesia di imbastire una creatura almeno funzionante che si rivela spesso zoppicante in termini di efficacia comunicativa.
Mi è bastato un attimo per capire che ti hanno maltrattato relegandoti a uno strumento di faticosa interazione, talvolta dall'appeal irresistibile - te lo riconosco - ma vulnerabile contenitore di oggetti poco conformi ai bisogni di un pubblico sempre più assetato di comfort e certezze.

Vive in te una bizzarra dicotomia: se l'effetto desiderato è quello di evocare immediatezza e prevedibilità, il buon proposito viene spesso smentito da flussi interattivi criptici, tipici dei soli film gialli. Il mancato rispetto dei banali princìpi logici produce, a sua volta, lo stesso panico procurato dai film del terrore.

“Ma cosa possiedi che io non ho?” mi chiederesti.

Possiedo l'urgenza di recapitare all'utente concetti chiari, risparmiandogli il continuo appello a un ipotetico Pronto Soccorso all'uso/comprensione del prodotto.
Se tu fossi un film saresti un genere giallo-horror. Se io fossi un sito internet, sarei un genio della User Experience.
Semplice, no?


THE END

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