L'assessora piuttosto che la sindaca
QUANDO L'USABILITÀ PASSA PER IL LESSICO
Compierò una lieve deviazione rispetto al tema dominante - prettamente dedicato alle interfacce visive - per entrare nel merito dell'usabilità declinata all'ambito lessicale.
I contesti interattivi uomo-servizio, uomo-prodotto, uomo-media, uomo-lessico che negli ultimi anni ho meticolosamente e voracemente annotato, sono accumunati dal consumismo frenetico, dal totalitarismo del circo mediatico, dall'asservita, obbediente omologazione: la cosiddetta sindrome del gregge, per intenderci.
Essi rappresentano, in sintesi, la drammatica realizzazione di un nuovo fondamentalismo, più micidiale in quanto più silente, più subdolo. È la cieca adesione emulativa, tanto coatta quanto inconsapevole, di modus dicendi/operandi ormai penetrati nel tessuto sociale e comunicativo.
Pertanto, distinguersi oggigiorno (prima che le leggi del branco finiscano di divorarci) significa contrastare un potente fenomeno di ipnotica suggestione di massa che si estende prepotentemente e ostinatamente a tutte le dimensioni della nostra esistenza.
Nata per contrastare il radicato androcentrismo, la rivisitazione e declinazione del dizionario italiano secondo il genere femminile [come se il sesso dovesse toccare tutte le dimensioni sociali e - ahinoi - grammaticali] sancisce non certo la parità tra i generi ma il malcelato complesso di inferiorità della donna contemporanea (quella mediocre, si intenda) in maniera irreversibile e senza precedenti.
La sindaca, l'assessora, la ministra, la magistrata, l'ingegnera, la cancelliera (in virtù dell'impossibilità di abbinarvi il suffisso -essa) rasentano lo sterminio dell'integrità e identità della lingua italiana, oltre a un inestetismo degno della fiera delle brutte arti.
E allora cosa dire dei poveri maschietti rimasti atleta, guardia, astrattista, autista che non possono appellarsi né a forzature di sorta, né a suffissi, né ad articoli determinativi? E di quella meravigliosa ciliegina sulla torta rappresentata dal sostantivo entusiasta?
Dovrebbero costituire un minaccioso sconquasso alla loro già precaria identità di genere?
Mi sono ovviamente risparmiata di annoverare i termini collega, giurista, stratega, giornalista, statista, vetrinista, cartellonista, ciclista poiché - sebbene terminanti con la A - possono disporre di un salvifico articolo il/la che ne sancisca il genere. Che fortuna!
Sottolineare o evidenziare in maniera ossessiva corrisponde - in termini di usabilità - a premere l'acceleratore o a render lampeggiante un pulsante di un'interfaccia come fosse la freccia di un veicolo in procinto di svoltare; è il disperato tentativo di richiamare un'attenzione non necessaria, non richiesta. "Sonno Donna, sono un'Assessora! Sono qui!".
Una maldestra forzatura alla quale i divulgatori (dai notiziari ai talk show, dai documentari ai servizi di intrattenimento vari) aderiscono per dovere ed emulano a dovere, quasi mai per oculato buon senso.
Assistiamo dunque all'alterazione estetica dei vocaboli al fine di evocare il sesso del soggetto.
È il frettoloso rimediare a una mancanza pregressa, quasi a voler piegare l'uso del lessico a un ammodernamento di comodo, ripulitore di una coscienza collettiva orientata a un presunto, ancestrale maschilismo.
Ma si è davvero certi che la demolizione dell'estetica di un linguaggio ormai conclamato e comunque caratterizzato da una certa gradevolezza acustica inclusiva dei due generi e per nulla lesiva di alcuna dignità, sia realmente la strada verso la decantata parità e non una mera protesi linguistica?
Si è davvero certi di voler accendere i riflettori sulle parole che terminano con la A per ricordare al mondo (e forse anche a sé?) di classificarsi come femmine piuttosto che come maschi? Serve davvero una 'parola terminante con la A' per incoronarci donne?
Beh, in questo contesto, io voglio sentirmi ancora chiamata Sindaco, Avvocato, Ingegnere, Cancelliere, Ministro, Soldato, Presidente.
Non è al mestiere che spetta il compito di decretare il genere di appartenenza.
Sono un dannato Assessore. Punto.
Il Signore del mistero
Nelle vicende del quotidiano imperversa (ora più che mai) una certa, sfumata ambiguità di cui è spesso artefice il linguaggio parlato.
si tratta di un tipo piuttosto schivo (ops, perdonate il gioco di parole!) che, negli ultimi decenni, pare aver maturato una duplice identità tale da non rivelarsi immediatamente riconoscibile dalle orecchie alle quali si rivolge: "Significherà questo? O significherà quest'altro? Quale delle due accezioni gli starà attribuendo il soggetto parlante?". Vai a saperlo ...
Da sempre e sottolineo da sempre, universalmente, legittimamente impiegato come sinonimo/surrogato delle espressioni "invece che", "anziché", "invece di" e "abbastanza", ha maldestramente assunto l'impropria valenza di "oppure", subendo il declassamento a una pseudovirgola divisoria tra un termine e l'altro, specie nell'ambito di elencazioni.
L'affermazione “Mi piace scrivere romanzi piuttosto che poesie e saggi” dà luogo a due possibili scenari:
1. mi piace scrivere romanzi invece di poesie e saggi;
2. mi piace scrivere romanzi oppure poesie e saggi (e forse molto altro ancora ...).
Ma, ricordiamolo, una doppia chiave di lettura equivale a nessuna chiave di lettura. Si definisce inusabile qualsivoglia elemento visualizzato, pronunciato o consultato che non sia portatore di un messaggio univoco e di repentina comprensibilità.
Le mamme, un tempo, si affacciavano al balcone e gridavano ai ragazzi:
"Giacominoooo, vieni a studiare piuttosto che bighellonare in cortile!".
Gente semplice, incontaminata, fautrice di concetti inequivocabili, altamente usabili in quanto prontamente recepiti dal destinatario.
Dinnanzi a un'oggettiva ambivalenza, invece, l'interlocutore - spiazzato - disporrà di una probabilità di azzeccare il senso della frase pari al 50%.
E stavolta è persino inutile ancorasi a quell'ultimo, ridicolo baluardo rappresentato dal famigerato “Ma tanto ...l'utente lo sa”.
L'epilogo equivale - ribadiamolo - a un messaggio non recapitato.
L'ascoltatore, sommessamente, bovinamente annuisce. Elargisce un sorriso di circostanza domandandosi - in cuor suo - “Ma che vorrà intendere sto tizio? Scrive romanzi, saggi e poesie o ...scrive romanzi e basta?”.
Giacomino, al contrario, mai si porrà il problema di dover scorgere significati reconditi nell'esclamazione della mamma. Non penserà lontanamente che lo possa aver invitato a scegliere se salire a studiare o seguitare a giocare giù in cortile!
È lo stesso cruccio, lo stesso grattacapo che caratterizza l'utente d'innanzi alle interfacce visive cartaceo/digitali di cui abbiamo già abbondantemente discusso: “Ma sarà un pulsante capace di scatenare qualcosa? Se sì, che cosa? O sarà una scritta e basta?”. Con l'aggravante che, nelle interlocuzioni uomo-uomo, non si può cliccare, né palpeggiare, né schiaffeggiare il soggetto parlante per testarne lo scopo/funzione né per persuaderlo a esplicitare il concetto aggiustandone l'esposizione. Potremmo anche farlo, la tentazione è forte, ma dovremmo attenderci una denuncia per molestie!
Eppure, questi assurdi nonsenso contemporanei, dominano la scena scavando solchi profondi in quelle menti paradossalmente più altolocate; una compagine inspiegabilmente più propensa a lasciarsi sedurre e influenzare dalle correnti del momento. Essi, se da un lato patiscono il ricorrente sforzo cognitivo nell'interpretare discorsi e concetti in essi annidati, dall'altro incoraggiano - propagandola - una modalità comunicativa di nuova generazione che adotti il piuttosto che in sostituzione al classico oppure.
Imbarazza sottrarsi a questi prepotenti modus dicendi, nella misura in cui (chissà perché) mortifica trascrivere o pronunciare
la parola riscontro al posto di feedback. Allo stesso modo, destabilizza l'idea di opporsi a dei codici comportamentali ormai cristallizzati; basti pensare a tutti quei ragazzotti che -
seduti in metro - tengono le gambe ben aperte piuttosto che
scegliere la via dell'eleganza accavallandole.
Sono riempitivi, protesi, segnaposto, supplitori di dafaiance, carenze e insicurezze di varia origine. Si riflettono nella postura così come nella grammatica.
Il
copia e incolla di una corbelleria linguistica - così come il
reiterarsi di scivoloni d'interfaccia - che si estenda a macchia d'olio
assumendo proporzioni mastodontiche, globali, non è un vezzo, né una
moda da sposare: è un errore e basta.
E, in un'epoca in cui il decadimento della mutua comprensione
pare non essere un'emergenza da scongiurare, piuttosto che
contrastare l'elemento fuorviante riconducendolo alla formula
originaria, si preferisce aggirarlo, alimentandolo.
O è forse un'epoca in cui è ormai troppo tardi (o troppo oneroso) riavvolgere il nastro e risanare un doveroso buon senso?
Ciao Mafalda! Ti scrivo questo commento solo per testare le potenzialità del blog :-). Piuttosto che ( ;-) )fare un guestbook, un blog come questo sarebbe la soluzione ideale per il sito delle meraviglie del passato ;-). Non mi è invece chiaro come si possano caricare eventuali foto o file pdf da parte degli utenti.
RispondiEliminaCiao, e grazie per il tuo commento. Con l'occasione mi hai dato il LA per una futura integrazione da apportare anche al mio blog (inserimento di eventuali esempi visivi, immagini, ecc ...). Ci sentiamo in privato
EliminaBene! Sicuramente verrà una bella cosa :)
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