Alla faccia dell'interfaccia 2

MARIO ROSSI NE "IL MANIFESTO DELLA MALA INTERAZIONE" 

Ricordate quando dicevo che, talvolta, autori e vittime di messaggi fuorvianti siamo noi stessi utenti?
Se l'interazione utente-utente non viene condotta nel giusto modo, come nella caotica chat del mio precedente racconto "Io non vengo", può dar luogo a contenuti ambigui o difficili da consultare.
Restando sempre in tema di cattivo utilizzo dei dispositivi pubblici, esiste un altro tipo di fenomeno - descritto nella storia che sto per narrarvi - il cui protagonista è classificabile come interfaccia fisica: il cassonetto della spazzatura. Prima di proseguire nella lettura, tenete presente che:

- tutti i personaggi (me compreso) sono nel pieno possesso delle proprie facoltà intellettive e non sono affatto dei vandali;

- le ripercussioni negative sul decoro urbano non sono imputabili a disservizi legati alla raccolta e smaltimento dei rifiuti da parte della società preposta, ma solo ed esclusivamente all'errato comportamento della gente.

Dio, che gente!
"No, non ci posso credere! Hanno svuotato ieri il cassonetto della plastica ed ora è di nuovo pieno. E adesso come faccio? La butto sul cumulo di rifiuti? O sul cumulo ci cammino sino a raggiungerne la vetta sormontata dall'affollato buco dal quale fuoriescono, disposte a raggiera, lattine ricurve avvinghiate a bottiglie di detersivo?
Chissà, forse premendo con tutta la forza che ho in corpo la plastica si schiaccia facendosi via via meno ingombrante. Ma no, chi me lo fa fare, sarà stracolmo. Se tutto è a terra va da sé che il contenitore non possa più accogliere nemmeno un tappo. Getto il sacchetto sulla montagna e fine della storia!"

“Ehi, signore! Guarda che è vuoto!” grida un ragazzino dall'altra parte della strada. 

“Impossibile sia vuoto, guarda quanta roba c'è a terra! Cosa ti fa pensare sia vuoto?” replico io rivolgendomi a quella vocina senza volto.

“E a te cosa fa pensare che sia pieno?”

“Bè, io lo deduco. Così come una fila di gente davanti a un bagno pubblico lascia pensare sia occupato!”

“È qui che ti sbagli, sai? Magari il bagno è semplicemente chiuso e la gente lo crede occupato. La gente è pigra, non bussa e si vergogna ad aprir la porta. Dammi retta, prova e vedrai!” incalza il piccolo birbante.

Fiducioso in quel fare saccente e rassicurante, azzardo un'audace arrampicata e spingo verso l'interno il materiale strabordante e... puff, il tutto scende giù toccando il fondo, con tanto d'eco e di rimbalzo.

Dunque, ricostruiamo i vari momenti della vicenda, evidentemente teatro di un colossale fraintendimento:

1) il cassonetto è vuoto;

2) un primo tizio vi getta il proprio sacchetto pieno di cianfrusaglie senza curarsi che questo non resti, per qualche ragionevole principio fisico, fermo in ingresso;

3) il sacchetto, come volevasi dimostrare, resta ancorato ai bordi del foro gommato;

4) altri utilizzatori - avvistando dei rifiuti a ridosso dell'imboccatura - percepiscono il cassonetto come moderatamente pieno. 
Per qualche motivo, questi utenti non saranno disposti a correre il rischio di aprire il coperchio né di applicare una leggera pressione sui sacchetti sporgenti [utile a farli precipitare all'interno del bidone e creare un provvidenziale spazio] ma incastreranno la propria plastica nel già sovraffollato buco o, nella peggiore delle ipotesi, la getteranno direttamente a terra.

5) gli utenti che via via si susseguiranno, interpreteranno il contenitore come chiaramente colmo, sebbene lo spazio disponibile tra i rifiuti bloccati in ingresso e il fondo dell’apparato sia piuttosto ampio. Epilogo della vicenda? Ovviamente nuovi rifiuti verranno gettati a terra, a ripetizione, in un crescendo di drammaticità, finché la montagna multicolore non apparirà abbastanza alta da destare sdegno e malcontento popolare.

6) un tizio qualsiasi (eccomi) nota il cumulo di plastica disposto a terra, maturando l'assoluta certezza che il cassonetto sia pieno. Ci vorrà un ragazzino saggio a far la rivelazione del secolo: "pare pieno ma molto probabilmente è vuoto! Spingi, scemo!"

Star fermi non è mai una buona mossa
L’inguaribile pigrizia del genere umano è quindi confermata dalla rinuncia a una banale operazione: informare il prossimo che il dispositivo è vuoto e in grado di ospitare agevolmente altre cose. Questa riluttanza - unita all'ottusa ma giustificabile credulità di chi non si pone il dubbio che dietro un cassonetto apparentemente pieno possano nascondersi risvolti differenti - genera cumuli di incomprensioni. La montagna di malintesi si traduce in una montagna di plastica sudicia, al cospetto di un contenitore quasi completamente vuoto e di un viavai di soggetti asserviti alla bugiarda apparenza.

“Ma che vergogna! Che degrado! Saranno settimane che l'azienda dei rifiuti non passa a ritirare”, brontola un'anziana signora rivolgendosi all'amica. 

“Macché, sono i clochard che buttano tutto fuori per cercare chissà cosa!” risponde nervosamente un passante infilando il proprio sacchetto nel mucchio. 

[Nel mentre, il vento si porta via alcune bottiglie sparpagliandole sulla strada principale, con le conseguenze che potete immaginare!]

L'idea che il cassonetto sia pieno non è quindi basata su un dato di fatto ma su una verità percepita, capace di tramandarsi - come il testimone di una staffetta - da un fruitore all'altro; un bizzarro fenomeno di suggestione collettiva la cui vittima è l'utilizzatore stesso.
Ma cosa dissuade la gente dall’adottare una salvifica buona pratica che possa arrestare un così tremendo circolo vizioso? È davvero un'operazione così dispendiosa, in termini di risorse cognitive, esercitare quel lieve colpetto sui rifiuti in ingresso? Non è più difficile gridare all'orrore? Non credo questa passività origini dalla sola inerzia, deve necessariamente innescarsi un automatismo dominato da modelli mentali ben radicati nell'immaginario comune (spazzatura esposta = bidone pieno zeppo), combinato a un certo grado di apatia e rassegnazione; il soggetto di turno si ferma all’evidenza del primo impatto giungendo a una conclusione immediata, quasi una sentenza ineluttabile, immeritevole di qualsiasi sforzo investigativo.
La superficialità e l'assenza di pensiero laterale generano incuria e l'incuria genera nuova incuria.

Il fatto che il cassonetto non sia trasparente, rende impossibile stabilire a monte quanti rifiuti stia contenendo ma è una ragione in più per vagliare sempre due ipotesi:

a) rifiuti esposti = cassonetto realmente pieno;
b) rifiuti esposti = cassonetto apparentemente pieno ma vuoto o semi vuoto;

Tenendo conto che, in interazioni di questo tipo, più attori concorrono alla costruzione dello scenario, l'intelligenza vorrebbe che, nel dubbio:

- ci si prendesse sempre la briga di indirizzare i propri scarti in profondità, o almeno di non lasciarli debordare quando lo spazio a disposizione sia oggettivamente sufficiente;

- si mettesse in bilancio l'eventuale negligenza altrui, ovvero - nell'incertezza che gli altri abbiano precedentemente fatto il proprio dovere - provare sempre e comunque a spingere i rifiuti verso l'interno, così da poter constatare [e, di conseguenza, suggerire ad altri] se il dispositivo sia davvero pieno o vuoto. Non si tratta di un semplice atto di civiltà, ma di un messaggio di cortesia utile a informare il mondo circa lo status in cui versa un determinato contesto, aggirando gli effetti di un clamoroso fraintendimento.

Pigrizia mentale e credulità basate su convenzioni ed esperienze pregresse sono caratteristiche insite nell'individuo sulle quali il design (industriale o digitale che sia) deve far leva per poter progettare interazioni che funzionino.
Nell'ambito delle interfacce digitali, ad esempio, il designer adotterà dei pattern visivi consolidati, di sempre univoca interpretazione; l'utente non va mai messo nelle condizioni di dover cliccare su qualsiasi contenuto per vedere se questo o quello "fungano o meno da pulsante", ma deve sentirsi assolutamente sicuro - senza investigazione alcuna - dell'esito di ogni interazione e della funzione che le cose hanno in virtù del loro aspetto (affordance). 
Il designer progetta in modo logico e scientifico ed è responsabile di ogni impressione suscitata nell'utente; è lui stesso il suggeritore/facilitatore che accorre e soccorre l'eroe (l'utente) in ogni momento della storia attraverso contenuti "parlanti"; in altri termini è un narratore onnisciente e coscienzioso che prevede, segnala o inibisce ogni possibilità di errore.
Ad esempio, quando nel campo "numero di telefono" di un modulo online digitiamo per sbaglio delle lettere anziché dei numeri, compare un messaggio di errore che ne segnala l'accaduto riconducendoci sulla retta via.
Ma se un buon designer progetta la segnalazione dell'errore, un designer eccellente rende quel campo a prova di errore istruendolo, lato codice, ad accogliere solo ed esclusivamente caratteri numerici; se digitassimo per sbaglio una lettera, non riusciremmo a scrivere nulla poiché l'errore è stato prevenuto. Trasponendo questo approccio all'ambito analogico  - e, più specificamente, al nostro racconto - è come se un progettista di cassonetti fosse sempre lì a spinger sacchetti nel bidone per aggirare il problema di interpretazioni sbagliate, scongiurando del tutto l'errore (pratica risolutiva ma logisticamente improponibile!).

Se nel mondo digitale la gestione delle dinamiche utente-prodotto sfrutta schemi visivi e principi psicologici ricorrenti, nel mondo fisico - purtroppo - non sempre esistono soluzioni definitive e comportamenti controllabili scientificamente; bisogna più che altro affidarsi al buon senso e al senso civico della collettività e adoperarci, tutti, affinché la comunicazione utente-utente sia sempre immediata ed efficace [o, qualora non lo fosse, sperare in un provvidenziale deus ex machina - il ragazzino audace - che avverte di un cassonetto in realtà vuoto].
Potremo provare a spingere quell'agglomerato di plastica verso l'interno per sondare se la presunta pienezza (outcome visivo) sia sintomatica di sciatteria o frutto di un effettivo sovraccarico, ma non riusciremo mai a disciplinare né a misurare del tutto l'altrui operato. 

Se proprio volessimo indurre la gente a comportarsi in modo conforme allo status in cui il cassonetto effettivamente versa, dovremmo affidarci a un bravo industrial designer capace di progettare contenitori completamente o parzialmente trasparenti, utili a mostrare la quantità di spazzatura in essi contenuta. Una simile strategia di monitoraggio rappresenterebbe il vincente adattamento dei princìpi cardine del design digitale [trasparenza cognitiva] alle interfacce proprie del mondo fisico [trasparenza materiale, in senso letterale] e arginerebbe definitivamente comportamenti scaturiti da percezioni non corrispondenti alla realtà.

Nel mondo digitale come nel mondo fisico, ogni occasione di interazione uomo-contesto merita il medesimo rispetto ed è assimilabile a una relazione sentimentale basata su:
  • dialogo = comunicazione efficace e assidua tra utente e interfaccia;
  • empatia = capacità di immedesimarsi nell'utente, alleviandone i grattacapi;
  • fiducia = affidabilità e reattività del sistema;
  • trasparenza = usabilità del sistema;
  • interazione fluida e memorabile = connessione emotiva utente-sistema, desiderio di ripetere l'esperienza e di segnalarla ad altri.
Pertanto, poco importa si tratti di un volantino, di un presidio medico, di un servizio pubblico, di un sistema digitale, del libretto di istruzioni di una lavapiatti, di un cassonetto dell'immondizia ecc., l'abile progettista deve saper coniugare funzionalità, usabilità e profonda umanità, contrastare l'inerzia stimolando all'azione (di qui la metafora del bambino suggeritore), inibire gli errori di interazione/digitazione.

Avanguardia non è sovvertire il sistema ma renderlo - in tutti i sensi - semplicemente trasparente.   

Commenti

  1. Fantastica... Peccato che l'Ama ha da poco cambiato il colore dei cassonetti mischiando ancor di più le idee ai poveri utenti :-(

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